Giantonio quel giorno era triste, imprigionato com'era in un cubo psichico di ilarità mancata, scopi funesti, marciscenze.

In tv davano il film di Cenerentola.

C'era una volta una sporca ragazza di nome cenerentola. 

Avea le orecchie pien di cerume e non si faceva mai i baffi.

A conti fatti, vista da una certa angolazione e sotto una certa luce, sembrava un tricheco, o un lamantino, è più corretto,  visto che non tenea le zanne.

Suo spasimante perditempo e per tre quarti cicisbeo era un certo Giottomane da Rovidendro, lurido lacchè parassita di una corte scellerata e dedita all'onanismo intellettuale.

Nemico giurato di Giottomane era invece Rodriguez, anche lui spassionatamente innamorato di Cenerentola.

Cenerentola a sua volta, aveva un padre, un padre di nome Sottaceto Bonario da Torre a Mare, che però a ventitré anni cambiò nome in Santuario Benevolo della Luz di IddioNostroSignore Jisus  Christi Sulla Croce di Nostro Signore, Amen.

La madre di Cenerentola era un programma del governo statunitense atto a sviluppare super poteri psico-fisici in seguito all'assunzione prolungata di droghe psichedeliche e tavolette di caffeina da 750 mg.


ma forse  Giantonio, stava soltanto sognando.


 siccome lui è capace di trascendere la materia

master degli elementi di 'sto cazzo

la sua visione delle cose non è casuale

dettata tutta dalla merda che lo ha generato


 districando pochi momenti a caso

danza tagliente -  melodia di lame in espansione perenne

 è il tacito assenso che uccide

dentro a spirali di fumo compatto

poche luci hanno ragione di esistere

dimentico di ogni leggiadria mi accingo a creare

nevrastenie dilaganti, dati di fatto, complotti


e ancora mal di pancia infiniti, per chi come me, ha dovuto sbagliare



un paio di storie

 (giusto perché mi annoiate)


KingKong

KingKong era un tipo sveglio, uno scimmione coatto atto a spendere e spandere e menare palate

pesanti sopra alla testa dei malcapitati

un bel giorno

tipo nelle isole tropicali di cui adesso non ti viene in mente il nome

KingKong fu catturato dal marito di una bionda con culo a parte, nel senso, quasi assoluto dalla persona.


Esso o egli, dipende dallo stupido momento, ivi giurò vendetta verso l'umanità intera e fece bene, perché così mi stava simpatico.

Obbrobrioso, al tramonto.

Catturato e quindi portato a New York, decise che era arrivato il tempo di mettere in moto la sua vendetta.

Prese in ostaggio la famosa bionda, quasi solo con una mano, la leccò tutta, bene-bene, fino a quasi il midollo, poi leccò un francobollo e per sbaglio lo ingurgitò.

Aveva appena assunto cinquecento lire, e ciò lo mandò su tutte le furie.

Strizzò un po' di più la bionda, sempre con l'abnorme mano destra-


Ella strizzò gli occhi e la vagina allo spasimo.

Quasi le venne un collasso.


Il marito nel frattempo si era già fatto un'amante prosperosa e procace, come poche pornostar al mondo.


Tutti morirono, e ciò mi diede gran sollazzo, solo una storia proprio perché mi state sul cazzo.


Carina come "chiusa" eh ;) ???



 quando basterebbe una voce melliflua

a ribaltare le ceneri del pomeriggio

e con essa le immagini

che involontarie - forse

m'illuminano il cervello


mi affascina il motivo del ghiaccio

la volontà ferrea della negazione


o problemi seri

non quelle vostre mitiche stronzate al sentore di vaniglia

per plebei


mi consolerebbe guardare

morte in-diretta


abnegazioni assolute

differenti pompare melmose dentro a spasmi quantici che si separano dal luogo per qualità e quantità


sono uno zombie

catatonico di fronte a quella che non voglio essere la realtà


impotente davanti al flusso


perché miro solo al taglio netto

l'omicidio perfetto

(il mio)

la decapitazione universale.



 Mi danno la nausea. 

Soprattutto me stesso.

Mi danno la nausea

parole che non penetrano affatto l'essenza

ferite poco profonde dentro allo pseudo-limite della realtà.


Tutti convinti di avere la chiave

nessuno che riesce ad aprire le porte


(quindi) credo che andrò a morire

per non dover soffocare, di nuovo, 

dentro questo mare di noia


 Ho visto le loro poesie popolare indecenti e copiose gli scaffali dei supermercati

Gli ho visti barattare dei like, baci, carezze, perfino saluti.

E al momento mi brucia soltanto e tantissimo, lo stomaco.


Per non parlare dei loro pensieri sempre in regola, mai una virgola fuori posto cazzo della madonna, mai una sacrosanta bestemmia.

Sarà che ci ho la sindrome di Tourette letteraria, ma io certe cose proprio non le sopporto.

Sono nazista?

Take
Out the stories
They've put into your mind and brace
For the glory
As you stare into the sky. The sky beneath
I know you can't be tired.


Oggi mi è capitato di nuovo.

 Ho sognato di decapitare dei malintenzionati usando le forbici.

Il primo soprattutto, sembrava immortale, così ho dovuto prima smontargli la gola  e poi recidergli la carotide.


outer space/inner place

 Per fortuna, complici due birre da 8° e una cannozza di cbd, riesco ancora a co-mmuovermi, grazie al Cielo.

Comunque di un grigio meraviglioso, poco funesto, quasi rincuorante.

Mi piace l'ovattato rumore del tuono, il vento atto a scompigliare i capelli che non ho, il freddo che conserva bene la pelle.

Mi piacciono le lacrime negate che avrebbero dovuto solcare il viso d'altri, i gatti neri, i cattivi pensieri un po' meno ma a quanto pare sono anche loro necessari nell'economia di quella che dovrebbe essere la tua mente e invece è solo un'accozzaglia di eventi messi lì a caso dal demiurgo proto-biologico che ci piace chiamare "caos".

Se un giorno, di notte, nel deserto dovessi trovare la lampada dei desideri le chiederei in primo luogo una ed una sola cosa.

Una bolla.

Una bolla indistruttibile ed atta al volo.

Una bolla a tenuta stagna.

Grazie ad essa potrei esplorare incolume i più inaccessibili recessi del giardino delle meraviglie in cui siamo imprigionati.

L'interno di un vulcano in eruzione, senza bruciarmi.

Le profondità dell'Amazzonia, senza essere punto da due ragni, quindici zanzare e otto dardi avvelenati dai più che giusti indios che bazzicano da quelle parti.

Il reattore di una centrale nucleare sul punto di esplodere.

Le altitudini dei nembi meravigliosi e ultra-carichi, prima di una tempesta.

Le profondità degli oceani, senza poi dover annegare o implodere per la pressione, o senza dovere poi per forza essere ingurgitati dal Kraken.

O da questo coso qui









>on air<

 Ho come questi pensieri nella mente che non riescono a uscire perché in primo luogo non riescono a prendere una forma ben definita, sostanziale.

La società mi ha ferito e io da allora ho deciso di starle alla larga.

Non riesco a pensare a una vita più coerente della mia, coerente nella negazione.

snowblinded lethargy

 Da quando è finita la ketamina non faccio altro che mangiare, bere e dormire: stop.

Nient'altro, a parte dilapidarmi troppo in fretta il già ristretto patrimonio con la coca.



 Faccio sempre tutto come se non ci fosse un domani, e invece sbaglio, nel senso... un domani c'è sempre, almeno per il momento.

confortably dumb

 In 'sti giorni mi sento svuotato, pigro e anche un po' stupido.

Stupido perché ho speso un sacco di soldi per cocainizzare me e la mia compagna, oltre che alla coppia (maschio e femmina, onde evitare spiacevoli dubbi) di amici suoi che sovente vengono a trovarci in cerca di un po' di svago. E di cocaina - pure troppa.

Che tra tutte le sostanze era quella che meno preferivo, prima di conoscere la mia compagna.

Pigro e svuotato perché praticamente sento di non aver più nulla da scrivere, o da dire, perlomeno nulla di interessante.

Quando c'era la ketch, o ketamina, o Special K - invece, era, mannaggia, tutto il contrario.

Accarezzavo tutto il creato con la psiche ed esso mi rispediva di rimando, frazioni ed attimi degni di essere vissuti, percepiti, per l'appunto: accarezzati.

Come il gatto nero a tre occhi che continuo a sognare, l'altra volta è stata ieri (o era ier l'altro?), strano, magico, un po' inquietante a dire il vero.

La mia compagna lo chiama "il gatto saccente". Ma sbaglia a chiamarlo così. 

Una volta, stracarico di 1p-lsd, uscii nel cortile della vecchia casa, quella al limitare del bosco.

All'epoca nel cortile bazzicava un branco di gatti, circa una quindicina, tra cuccioli e adulti.

Uscii e guardai un po' i "miei" gatti. Gli ho visto gli spiriti addosso, tipo facce di gatti persiani e vagamente più malefici e feroci, che si soprapponevano alle immagini dei gatti "normali" (anche se non esistono gatti normali), volti di 'sta specie di demoni che attraversano come onde il corpo e il pelo dei miei piacevoli gattini.

La visione mi lasciò un po' perplesso, sicuramente inquieto.

Ma tipo è una vita e forse altri tre quarti, che sono abituato a starmene stranamente inquieto, e pure un po' perplesso.


Ritornando a noi, l'altro giorno, durante il brunch (cocainico) che si era prolungato fino alle due del pomeriggio, ho chiamato mio padre, quello che sta in Brasile, quello che erano due anni che non sentivo.

L'ultima volta avevamo litigato di brutto, con tanto di auguri di morte prematura e coatta.

Abbiamo parlato per circa due ore, con lui che rivangava il suo "ingiusto" passato ed io che a tratti, paziente, lo ascoltavo, e a tratti l'invitavo a non vivere in esso. Nel passato, intendo.

Quand'ecco che a un tratto ieri mi ha mandato un messaggio, per chiedermi come stavo.

Io ero lì inerme che dormivo circa da quindici ore.

Gli ho risposto che andava bene, più o meno, "tutto bene ma niente a posto", come ha detto lui, e alla mia domanda di rimando, "e a te come procede?", lui mi ha risposto "+o-".

Oggi dovrò rispondergli, ovviamente e of course, anche se solo per salvare le apparenze.

Che lui non sa che non mi preoccupo così neanche per mia madre, che ovviamente è il genitore che più apprezzo perché quello che si è preso più cura di me, in tutti questi anni.

Che lui non sa che in fondo, a me non importa proprio di nessuno, a parte me stesso, e le poche persone che sono entrate a far parte della mia vita, proprio perché si occupano (e preoccupano) di me.

Farei meglio a non pubblicare questo post, ma, >>pubblica e 'sti gran cazzi




Lovely Sara

 Ci sta questa bambina del cazzo, con un frontone che manco Notre Dame, che è ricca da far schifo e si veste sempre tipo una bambola della minchia ragguardevole ai vostri occhi viziosi e fin troppo placidi, dio buono.

La bambola si chiamava Priscilla.

La bambina invece si chiamava Sara, ma già presumo che non gliene frega un cazzo a nessuno.

A me meno di tutti, tanto per chiarirci.

Sara aveva un padre, un padre che aveva fatto la sua fortuna in Africa, schiavizzando i negri (parole sue) per costringerli a cavar su diamanti, da una  cava, suppongo.

La madre era morta.

Fortuna o sfortuna sarà il futuro a deciderlo.


Io credo che dovremmo tutti morire prima o poi, meglio prima che poi, a conti fatti.


Il padre non aveva tempo per accudire Sara, un padre che ho deciso avere il nome di Lepolodinho.

Non aveva tempo per accudirla e così, una volta a Parigi, città che già mi sta sulle balle pur senza averla mai visitata, decise di porla in uno stracazzo (sono ubriaco molesto stamane) di collegio per giovani ricche, più ricche di me.

E già per questo poco adorabili.

Tutto andava bene al principio, la diabolica direttrice del convento era una leccaculo peggio di te, o di me nelle occasioni giuste, e così Sara, ricca come non mai, era ben-trattata, riservita, adulata.


Quando a un tratto pure il padre muore.

Sara ci aveva un karma infame, probabilmente nella vita passata era stata una mistress priva di scrupoli, pietà, persino emozioni.

Una sorta di Kamala bastarda, piena di fiele, codarda e putrida, indecente.

Il padre muore e morendo, smette di passare il lunario a Sara, condannandola così alla povertà assoluta, e già in questo modo comincia a starmi più simpatica, a diventare più interessante e utile, nei confronti della mia scrittura.

Miss Minci, questo il nome della direttrice del fottuto collegio, da leccaculo che era, leccaculo nei confronti dei potenti, ovviamente, si trasforma in una iena assetata di sangue, e di fegati umani.

Miss Minci la immagino dedita alla stregoneria più assoluta, mentre mummifica feti destinati solo a spaventare il prossimo suo, e per giunta, in una notte di novembre destinata a perdurare.

Miss Minci diventa una iena spaventosa nei confronti di Sara, perché ella non aveva più di che pagare la retta, e a Miss Minci piacevano i soldi, come un po' a tutti noi quando non ci dimentichiamo di fare finta di no.

Ma questo per fortuna non era  abbastanza, e infatti tutte le sue amiche, della sfortunata (<3) Sara, che prima era l'idolo di chiunque tranne me, comincia a stare sul cazzo, ma così sul cazzo che neanche Cesare a Bruto sull'orlo delle idi di marzo, a chiunque.

Tranne che a una sua amica cicciona che comunque era già patetica prima dell'inizio del racconto divino dell'esistenza stessa al sentore di plastica bruciata.

E niente, Miss Minci pure aveva una sorella cicciona, un po' più buona di lei, ma impotente come me dopo tre grammi di coca.

Impotente ma arrapato come una scimmia suina davanti a un trogolo ripieno di ferrero rochet.


In poche parole, che già mi sono rotto il cazzo per l'ennesima volta, a Sara succede di tutto, soprattutto a causa di Miss Minci e di una sua coetanea/compagna di nome Lavinia (che donna, direbbe De Sade) che proprio non gliela vogliono lasciar passar liscia a quella Sara, che bello.

Le amo e le amerei tutte quante, ad averne il tempo, e il modo.

Tipo un giorno, non so ma lo immagino, a Sara fecero bere il vomito del cane di Miss Minci.

Un altro giorno tutti mangiarono del pane tranne Sara, giusto perché mi divertiva il suono propedeutico della frase.

Un giorno tutti dissero che tutte erano belle tranne che a Sara, che a conti fatti, in quel momento me la sarei inculata, giusto per contrappasso.

Fino al momento in cui, Sara, nell'apice del precipizio della sua sfiga, torna in camera sua bella sommessa e trova una sorpresa.

Tutti quel giorno avevano mangiato l'arrosto mentre a Sara erano state destinate le briciole dei rimasugli delle unghie di Miss Minci e Lavinia.

Sara torna nella stamberga che le era stata dedicata (da Miss Minci) come camera e trova l'ira di dio che manco masterchef dieci a confronto, avrebbe potuto reggere.

Pollo all'arrosto con contorno di dita di orizzonte appena pasciuto.

Ragù d'insalata di carne succulenta.

Rane fritte e al forno al sentore d'ibiscus e di mio padre che non aveva dimenticato di volermi bene, perché a conti fatti, comunque suo figlio.

E insieme a tutte queste succulenze, una lettera.

Una lettera misteriosa che Le diceva che tutto sarebbe andato per il meglio.

Tagliando corto, che già mi avete rotto il cazzo per la mancanza di droghe e di deroghe atte ad amarvi, il padre di Sara era morto ma prima di morire aveva trovato (lui e i suoi negri, parole sue), aveva trovato uno stracazzo di diamante grande quanto il tuo cuore (quindi abbastanza piccolo, a conti fatti), ma comunque costoso proprio come il tuo cuore e quindi, aveva destinato tutto a Sara, Sara, Sara.

L'aurora vide il messaggero, uno strano indiano col turbante (strano visto che fino ad ora  si era parlato di Africa) essere abbastanza onesto, a differenza di quell'indiano che cercò di toccare il culo a una mia ex, siciliana a Roma, e quindi Sara ritornò ad esser ricca, molto più ricca di noi, e quindi ritornarci antipatica a tutti, lei insieme a quella stracazzo di bambola di nome Lavinia, ah no Miss Minci, anzi no la sorella grassa di Miss Minci, anzi no, Priscilla.


"Lo strano braccialetto, che indossa sempre Mei" - ma questa è un'altra storia che mai racconterò, per mancanza d'interesse.











 Madonna che sogno esaltante che ho appena fatto...

Galvanizzato dal non-so-cosa picchiavo chiunque in una pugna a squadre, con gran sollazzo del pubblico in visibilio.

Ero acrobatico.

A uno ho perfino strappato una parte di orecchio con un morso e dopo gli ho chiesto scusa.

Non pareva aver serbato troppo rancore.

 Ventiquattromila pensieri al secondo fluiscono inarrestabili

Alimentando voglie e necessità



consumare, consumarsi

 Ho comprato sti diamine di infusi su amazon, buoni tutti da morire, immagino, anche se per ora ho assaggiato solo quello alla zenzero e mango.

Poi ho comprato dei libri, tra questi uno di Jung che non credo che leggerò a breve termine, poi il Kybalion, poi, quello che mi avevi consigliato tu, Cavalieri elettrici di cui ho letto il primo racconto, quello di  Gibson.

E poi il tuo, quello in cui al momento sono arrivato più avanti.

Anche perché al momento mi è sembrato quello che parlava di argomenti più "familiari".

Agli acquisti si aggiungono l'ups per proteggere il pc dagli sbalzi di corrente ai quali la mia casa è sottoposta per ragioni ataviche, e una guaina raccogli cavi per cercare di rendere l'ambiente un po' meno raffazzonato.

La mia lady al ritorno dalla Germania, dove era andata a trovare il suo  esule fratello e famiglia, mi ha portato un paio di tabacchi per il narghilè, che in Italia sono vietati e non si capisce il perché (forse per l'eccessivo contenuto di nicotina), il narghilè (o pipa "hookah") l'avevo comprato un paio di anni fa, sempre su amazon.

Verso la fine del mese scorso ho riacquistato questa profumata erba ad alto contenuto di cbd, circa 100 grammi, che si chiama Juicy Fruit ma che ovviamente non dà di frutta, non come quella Speed Devil che coltivai io anni fa, quando abitavo al limitare del bosco.

Quella si che era odorosa di frutta tropicale - bella matura.

A novembre voglio comprare una nuova camera da letto, che, passino l'armadio stravecchio e i comodini poco eleganti, ma come letto vero e proprio sento proprio il bisogno di qualcosa di più "stabile" e meno scricchiolante.

E infine la K, l'unica  cosa di cui sentirei veramente il bisogno a partire da qualche ora fa.

Senza di essa, temo che Rabarbara e i suoi stravaganti compagni di viaggio, possano tutti morire affogati nell'oblio della noia e della dimenticanza. Il che sarebbe veramente un male (?) perché per una volta, sent(iv)o il bisogno e la voglia di portare avanti qualcosa. Per poi scriverci sopra la parola "fine".


 Ambisco alla ragione stessa della fotosintesi;

che io possa trovare - nel tempo

le particelle umide che mi portano ancora a sperare.

 E tra l'altro la ketamina è finita.

Si ritorna alla realtà, almeno per un po'.

RABARBARA - CAPITOLO 6 - LA SELVA OSCURA, IL LUPO E I DADI, paragrafo 3

 Tutt'a un tratto si cominciò a sentire un prorompente odore di patatine tutt'intorno all'area, ma non di patatine normali, anzi invece proprio sai quelle patatine delinquenziali tipo nachos/narcos/frittos o qualcosa del genere con tutta una sequela di oliosità ambulanti a rimarcare il confine del vuoto.

Ed era lui infatti, Giancoraggio, giunto dalle desolate lande del meriggio quivi tra noi a testimonianza pari della sua stessa essenza pronto a regurgitare altri improbabili vaticini atti at funestare qualsivoglia sintomo di sanità mentale.

-Mi presento a voi, sussignori, in prece et anzi assolutissima vece capace di stare qui a dimostrarvi quanto questo e quello, mi riferisco al risultato dei dadi, siano assolutamente invalidi dinanzi al tribunale ivi intervenuto per scrollarsi di dosso l'orrido risultato ottenuto.

Da entrambe le parti.

Dichiaro quindi così chiusa la partita, pace  e AMEN

-AMEN

-Che ne direste invece- fece sempre Giancoraggio, se tutti noi in tale punto tale momento ci mettessimo innanzitutto a far preghiera qui ad Allaide?

-ALLAIDE!

disse la selva in coro, con tanto di nani e Lupo  e Princeps e Rabarbara e gli scoiattoli arancioni e i procioni viola, aracnidi e due elefanti si dondolavano, avete capito bene ma comunque si, perché no

tutti in coro ed in ginocchio a pregare giù ad Allaide, disposti in circoli virtuosi che vedevano gli animali fare da guardia alle piante e le piante, succulente, redarguirsi in toto atte solo a fare preghiera ad Allaide, divinità proto-somatica dal sorriso sgargiante e al sapore di mentolo.


-ALLAIDE! ALLAIDE!

-Si dimmi?

-Non far lo strunzolo, Truzzolo, lo sai che non sei Allaide, zitto e prega 

-Ok

e i cerbiatti candidi rosa damascati al contrario tutti vennero e intervennero per portare grazie ad Allaide -

la foresta, zittita in un canto soave osannante le glorie di dio Allaide e via dicendo.


Alla fine della cerimonia tutti si sentirono molto purificati, sollevati e recalcitranti.

Allaide era un dio un po' così, tipo confuso.

Tutti concordavano sul fatto che però il nocciolo della questione era stato già ampiamente eviscerato da tempo, e questo non rallegrava nessuno a conti fatti, proprio no-no.


Il Lupo decise che era arrivata l'ora di appendere le palle e la pelle al chiodo e, convertitosi ad Allaide, prese in sposa due scoiattole musulmane gemelle siamesi con la punta della coda al sentore di zenzero.

Si separò dal gruppo e a mai più rivederci.

L'Oscura Presenza avea fallito stavolta, ancora una volta, con precisione mnemonica.

 Sento questo strano odore di fiori nell'aria, ogni tanto in un angolo della mia stanza, ho paura di stare diventando santo.

Oppure è semplicemente il riverbero della cannabis light che ho nella sacca.


Crawlin' back to you (crawlin' back to you)
Ever thought of callin' when
You've had a few? (Had a few)
'Cause I always do ('cause I always do)
Maybe I'm too (maybe I'm too busy)
Busy bein' yours (bein' yours)
To fall for somebody new
Now, I've thought it through
Crawlin' back to you

vizioso

 Finita la ketamina ricominciano ad affacciarsi i vizi di gola, e di sesso, e di naso.

 A parte che mi sento instabile come una ballerina nervosa che danza con la punta del piede sul ciglio dell'abisso di una crisi di nervi.

il bisogno dei like

 Non so veramente cosa pensare a riguardo dei like.

Mi piacciono, in parte, sono comunque umano, almeno suppongo, ma allo stesso tempo mi vincolano, come se mi mettessero nella condizione di compiacere qualcuno.

E solo Dio sa quanto io non voglia stare a compiacere proprio nessuno, a parte me stesso e quella ristretta cerchia di persone che io ho scelto come mie compagne di viaggio per questo strano tratto della mia esistenza.

 Oddio della gente ha cominciato a seguire il mio blog su wordpress, adesso non potrò più scrivere tutte le mie bestialità, talora si rivelasse necessario... per fortuna che ho ancora te, mirrorverse caro.

love love love

 se tu ti proponessi - di recitare TE




crudità

 divoratore di ossimori antitetici al suono

improvviso improbabili danze soporifere accostando ai rumori la necessità di un'azione costante

dimentico di quando ero sereno adesso affronto, privo di remore, ogni pulsione scarlatta orientata alla negazione.

RABARBARA - CAPITOLO 6 - LA SELVA OSCURA, IL LUPO E I DADI, paragrafo 2

 I dadi, quest'accozzaglia qualunquistica di scissione cosmica fatta a numeri messi lì per caso (?), quasi a farti dispiacere.

Sia Bistrattalo che il Lupo ne andavano pazzi, a quanto pare, per questa alea aleatoria che poco aveva a che spartire con l'ordine innanzi che supposto delle cose.

Affascinati dalla logica random, essi volgevano la vita e lo sguardo nel perenne tentativo di guardare oltre l'orizzonte appena rappreso delle cose.

I due si disposero a fronteggiarsi mentre il resto dei nani e il Principe e Rabarbara si misero a cerchio quasi a voler circumnavigare la questione.

Il Principe non visto si grattò in mezzo al sedere, che sentiva un'impellenza urticante che guardinga lo storniva dal lato basso del suo apparato evacuatore.

Dotto tirò fuori da non so dove una sorta di scacchiera/tagliere/pedana o comunque un quadrangolo di legno sopra al quale la battaglia avrebbe di lì a poco avuto inizio.

La pose su una roccia abbastanza piatta apparsa lì a d'uopo, proprio in mezzo ai due contendenti.

Il deus ex machina facea faville all'epoca dei fatti, in effetti.

Bistrattalo masticava chewing gum all'uranio impoverito mentre il  Lupo  sbuffava e snortiva, calmo e al tempo stesso agitato, impaziente, di dimostrare a qualcuno (forse sua mamma lupa), qualcosa di bello e diseducativo al contempo.

-Comincia tu, nano d'arrabatto 

SLING - Bistrattalo lanciò i sette dadi con maestria da far accapponare le palle, ad avercele, e i dadi, violacei come al solito cominciaron a rotolare quasi immobili e al tempo stesso fermi ma gravidi di movenze in fieri, pronti a cristallizzare l'attimo e con esso, il risultato.

Quattro teschi, due scudi e una croce.

Questo aveva esatto il lancio di dadi lanciato dal nano, quasi come per miracolo non richiesto ma ritorto al tempo stesso dal conducente antitetico alla questione.

Il Lupo quasi trasalì alla vista dell'otterrimo risultato, incapace di negarsi  in ritirata, forzò sé stesso a rimanere quasi impassibile seppur evidentemente turbato.

-Adesso quindi, dovrebbe pur toccare a te, vediamo di cosa sei capace - lo incalzò Bistrattalo, ormai sicuro del risultato ottimistico della pugna

Sei sei e un sette.

"WOOOrst" si udì udire dal sottobosco, come una folata di vento coadiuvata dagli spettatori di cotale scempio dadesco.

Il Lupo cominciò piano piano a ridacchiare e mentre rideva iniziò a sussultare e poi a girare su sé stesso, saltellando,  come in preda a una ludica danza di vittoria ancestrale fortemente desiderata.

-Ho vinto... ho - VINTO! Lo vedete che ho vinto e voi lo sapete cosa significa vero, in cuor vostro lo sapevate fin dal principio, io ho vinto e voi avete PERSO, ciò significa che voi dovrete tornare indietro e ricominciare tutto daccapo, o altrimenti, darvi al tramonto che tanto ormai è tardi e nessuno se n'è accorto.-

Le regole non scritte del gioco erano lì a girovagar nell'aria già da un pezzo a quanto pare.

I sette avrebbero dovuto tornarsene a casa insoddisfatti e i funghi destinati invece a marcire senza esser divorati da nisciuno.

Quando invece, tutt'a un tratto...


RABARBARA - CAPITOLO 6 - LA SELVA OSCURA, IL LUPO E I DADI

 Tosto che lasciarono il deserto di vanadio, i sette misero piede in quella che aveva tutta l'aria di essere una selva oscura, per fortuna, umida, beatificante, soppressa.

Attraversavano in un silenzio che durò quasi cinque minuti, un campo solcato dai pochi raggi di un sole viola, che riusciva a farsi strada attraverso l'intricato intrico delle foglie, come rosoni, alberi come cattedrali a testimonianza della sacralità del posto.

A Truzzolo, nano ribelle, venne in mente di fare una pausa, un'altra, che davvero ci aveva chiappe e piedi stanchi, il giovin-vecchiardo.

Aveva circa 157 anni.

Da giovane era solito andare in discoteca con le amiche degli amici, entrare di soppiatto elargendo mance da due euro ai buttafuori e tracannare birra da non meno di quindici gradi a sorsiglia.

Una volta, il Truzzolo, salì sulle casse per ballare ancora meglio dinanzi a tutto il regno complicato delle masse lì danzanti e gli caddero i pantaloni, così, d'avanti a tutti, che non avea bene stretta la cintura e i pantaloni erano un po' larghi hip-hop alla maniera delle bestie.

Ci fu un momento di sgomento, poi una femmina azzardò una risatina ma Truzzolo impervio continuò a ballare e dopo un rutto s'insinuò tra la folla per andare ad azzannar le labbra della bella ragazzina che aveva osato ridere, lei coi suoi capelli viola.

Si beccò dopo un cazzotto dal ragazzo di cotale fimmena, ma a lui piacque lo stesso, ne era valsa la pena, almeno credo, almeno disse, 35 anni dopo, a un suo nipote, tale Gargiulo da Rodi.

Quello stesso giorno Truzzolo ingurgitò per via nasale almeno altri quattro grammi di ketamina purissima proveniente dalle fabbriche delle indiche indiane, poste ad est della tua posizione attuale.

 O ad ovest se tu un giorno ti venisse in mente di abitartene in Cina, o Giappone. O ancora nelle Americhe.

Ed era ancora vivo, lì, pronto a testimoniarlo a chiunque e anzi ansioso di raccontare tali amenità al suo prossimo.

Truzzolo aveva la barba rossiccia raggomitolata in tre trecce che gli si dipanavano dal mento, racchiuse da un fiocchetto rosso di velluto stagno.

Invece dell'elmo avea una pentola di argento a coprirgli il capo.

La sua arma prediletta era la paletta da cucina di sua nonna, Pia, nana barbuta fino alle natiche.


Lo strumento era di ottone, pesante circa quindici chilogrammi, ed era servito alla donna per menare culi di nipoti e rovistar patate al forno, alternativamente, quasi  con concussione.

Morta la nonna, Truzzolo aveva ereditato la paletta insieme a una lettera, che recitava pressappoco così

"Caro Truzzolo, che la paletta non ti sia d'intralcio a rovistar nei rovi in cerca di cicogne, e patate"



-Capite quindi?  Il senso logico del nesso? 

-Si Truzzolo, esordì Cucciolo- innocente

-Adesso ci possiamo stendere un poco su quest'erbetta si morbida e soave, vellutata dai muschi verdeviolacei che ci faranno da cuscino.

-Stendetevi disse Dotto, uno di fianco all'altro, formando quasi una scala che da questo punto punti quasi a Meriggio, ok, così:

Rabarbara per prima si distese, accompagnata dal Principe alle sue spalle, per poi a seguire in un abbraccio con Cucciolo, Dotto, Brontolo, che abbracciava Bistrattalo e per finire Truzzolo, separato dal resto del gruppo, fronteggiante Bistrattalo.

Quasi che era l'or di dormire quando a un tratto si udì un ululare sommesso, quasi vicino, di un lupo incallito nel fare della notte.

Anche se in effetti, erano tipo le sette del mattino.

-Che é successo dunque? 

-M'è parso di sentir un ululato provenire da proprio dietro le mie natiche, disse Truzzolo, incombente

-Rabarbara, tutto a posto? - fece il Principe

-Non saprei, mi è parso di sentirmi sdrusciare da un qualcosa di peloso e nero, quasi e che sulle chiappe, per dir si voglia, ma forse...

Una figura nera e pelosa, antropomorfa, sbucò da dietro un par di alberi messi a  gruppo lì per caso;

imponente troneggiava sul gruppo ancora disteso, era alto quasi due metri, larghe le spalle quanto pelose, pure le ascelle, ricoperte appunto da questa pelliccia nera e stopposa, ruvida, quasi metallica.

-Et voilà sono il Lupo, abbastanza oscuro, mandato qui dall'Oscura Presenza per permettervi il lusso di partecipare a un gioco, un gioco bellissimo, manco li-cani, un gioco che si svolgerà per la precisione nel campo quantistico dei DADI.


-Dadi? Lo interruppe Bistrattalo- sono io che vi dovevo dire qualcosa a riguardo alle fantasie dei nani riguardo ai dadi!

In effetti eccoli qui, sette duplici dadi pronti a schiarirvi le idee sul calcolo infinitesimale che immantinente, andremo a intraprendere.






RABARBARA - CAPITOLO 5 - IL DESERTO DI VANADIO

 Fu così che il Principe, insieme al sestetto, decise che era arrivato il momento di sortire, ancora una volta, slanciati verso il fungo osceno  e incapsulato dentro a un sogno che mai, nessuno mai avrebbe comunque osato oltremodo di stare ancora a sperare.

Presero la briga di partire all'alba, dopo essersi rifocillati a dovere con una scorta di merendine minori non automatiche trovate lì per la strada, tipo un mongo-gioiello blu al sapore di cobalto, o una banana split-tata ingerente novantanove fantasie all'ape maranja.

Soddisfatti da cotanto scempio dionisiaco e silvano, imprudenti posero il piede sopra a una striscia del deserto di Vanadio.

Il quarzo rosa o forse rosso, blu nel colore della notte ma anche verde, se distratte le pupille stanno ancora lì a guardare

comunque: Vanadio

e si fece la notte, mentre i sette copulavano soavi col terreno sulle scarpe, camminando sempre ad EST, sopra e a destra sempre ad EST, quarzi di brividi rosa brillavano assuefanti sopra l'iride nascosta della principessa Rabarbara, che, puntuta, divenne innanzi al gruppo e disse:

-Ora è il momento che ci facciamo un bel Pic-Nic!

-Ma come, fece Brontolo, proprio qui in mezzo allu desierto, di notte, e per di più c'a panza china di dopo d'aver affruntato le merende qui urticanti?

-Esatto, improvvisò la lady, Rabarbara di nome, e di fatto.

Dallo zaino che nascosto avea sotto l'ampia gonna tirò fuori un incastro d'incantesimo ambaradambesco , con tutta una serie di tovaglie, panini, sandwich e fazzoletti. BianKi, proprio candidi come la Neve.

Si distesero quindi i nani, affamati di panini, e il Principe seguì loro, con per ultima Rabarbara che aveva deciso di fare gli onori di casa

nel deserto di vanadio

luna mezza scolla un sorriso stasera

diciamo verde acido

con il cielo blu cobalto

e tutti lì a guardare le stelle, diciassette sorelle, incastonate in chiavi di lettura più che impossibili da decifrare

e andiamo quando a un tratto, tutt'a un punto sopra un nero masso vero appare un gatto nero e vero che, posta la sua coda a spirale intonso proprio a dritto tipo punto interrogativo chiede e fa, a Rabarbara, 

-Ma Perché?

I nani giurarono di avere sentito quel gatto parlare, all'una di notte, tralasciando la luna e la botte di vino sponsorizzata dallo zio Vitino, di nano suo cugino

-Solamente, perché?

E Rarbarbara, e il vanadio, e Battisti, e gli Stadio

tutto assunse un'atmosfera quantica, quasi più sibillina che quantica, una musica stanca

per poi ritrovarsi a pelo a pelo sopra il gatto nero e accarezzarlo davvero

sussurargli all'orecchio "mi piaci"  e lasciamoci andare in questa danza notturna, davanti al principe e ai nani, con una mano all'orecchio e l'altra alla radio, che semplifica il suono di una canzone degli Stadio nel deserto di Vanadio.

(MAH... fece la selva oscura, che si parava poco più innanzi a circa trenta gradi centigradi ad est dal punto in cui si trovavano)



 


RABARBARA - CAPITOLO 4 - LA STEPPA DELLE MERENDINE URTICANTI

 Fatto si che loro erano giunti nella campagna, questa steppa maestosa e violacea gli si presentò innanzi agli occhi un po' stanchi degli assoluti viandanti ormai sette suppongo e via via discorrendo, quasi come tenendosi per mano, il gruppo quindi, devolvendosi a raggera, cominciò ad esplorare placido queste terre erbose ma non troppo, di edera e licheni sussurranti nelle trame di un'io scomposto altrimenti che altrove.


Un sole verdognolo illuminava il tutto, un sole che un tempo era stato beffardo ma ora era ormai cauto, riguardoso, sottile.

Fu Rabarbara a percepirne per prima l'essenza, la sofficità e la scioglievolezza, della prima merendina.

Come un batuffolo di neve o di zucchero filato, essa rotolava come un cespuglio rotolante dell'Arizona, ma questa volta molto più ad est, sulle lande placide della vallata

scoscesa giusto a tratti - da qualche roccia d'onice puntuta e raffinata, tagliente, dipinta di nero.


Ed ecco il primo "WOW" "MA CHE È", -guarda lì!

Eccone un'altra - ed era proprio la merenda più brioche ed arzigogolo-paffuta che ti potessi immaginare, 

ricoperta di uno strano strato di zuccheri a scaglie meringate ed ostrogote, succulente agli occhi e alla radice stessa delle papille gustative che avevano la loro origine nel Male.


Non passarono neanche quindici secondi che l'intera combriccola dei sette si ritrovò circondata da un uragano  di merende provenienti da ogni dove, come, credo e paese.

C'era la merendina all'Albicocca proveniente dal Giappone, o la fantomatica slurposa al salice piangente che deriva dalle Fiandre di tua zia Ecubalda.

Il moretto intero, tonto e intonso in cioccolato nero e perché no, suadente.

Poi la rotonda scuffia incicciata delle meraviglie gravitazionali, ricoperta da una melassa rosa al sentore di ibiscus.

e infine Lei, sua Maestà la Regina delle Merendine, la Girella Motta, gigantesca, opinionabile, soave.

Soffice come un virgulto ma granitica come un tumulo, s'impiantò d'un tratto d'avanti al pubblico dei sette e lì si fermò, vibrante - sospesa a mezz'aria.

a Bistrattalo scappò un "porca puttana" e quasi ci si stava avvicendando per prevaricarsi un morso pieno di quella abnorme merendina, quando a un tratto si udì un sibilo e la merenda, parlò

-Sono sette eoni e/o otto scene, che, noi, merendine urticanti della steppa violacea testimoniamo l'esistenza dell'Essere.

-È un pensiero si che profondo - disse Rabarbara, ma mi pare di non aver capito,- non del tutto, almeno 

-Non ti preoccupare,- sentenziò la succulenta animosità, - ma piuttosto, hai mai veramente guardato ancora dentro a te stessa?-

WING si udì il vento sottile farsi tagliente nella vallata, come a sottolineare l'atroce punto di domanda posta dalla merenda alla ragazza

ed ella ancora una volta chiuse gli occhi, ma stavolta ascese, in trance pseudo-apocalittica, anch'ella sospesa a mezzaria come la Girella che l'avea interrogata.

Ed erano lì, sospese entrambe nell'aria mentre una musica dolce e profana, madida ma confusa, quasi sussurrava a provenire dalla terra, ombrosa, portatrice di scarogne, maledetta.

Si guardarono d'un tratto e all'improvviso si vide una luce, bianca, luminosa fra le due -

come una scintilla distillata al centro dei loro stessi sguardi, pura, benedetta, immacolata.

Che svanirono in un botto tutt'e due e si ritrovarono al tappeto, sopra al suolo della steppa erbosa, guardandosi ancora e chiedendosi a vicenda: -che è successo?- , -Chi siamo? Io sono RabarbaraBianKaNeve e tu la Merenda Girella Motta o è viceversa?

-Io siamo?

-Noi È?

e da lì subito sparuto sparì l'incanto

diciassette stelle a firmare il ciak della scena.


Truzzolo prende l'iniziativa e rilancia: "Ehi gomma ossidrica (riferito alla merendina)", ma quindi cos'è che ti stava per passare manco un poco nella mente, poco orsono?

-Non lo so, disse la Girella (che nel frattempo aveva ricominciato a levitare), - ma so per certo che adesso è arrivato il tempo che andiate, via, via da queste lande, urticanti come la plebe, urticanti sopra il pube, perchè noi, MERENDE, abbiamo deliberato, la più completa assoluzione per la qui presente Rabarbara immanente ma non per il suo ragazzo, elzeviro Principe di sua Maestà Principe di Carbonia.

-AH! Lo sapevo! Fece il princeps, questa volta che toccava proprio a me, la vicenda

e in effetti...


Uno strano bulbo oculare era nato lì per caso, urticante, nel buco del culo del principe.





BianKaNevE//RABARBARA - CAPITOLO 3 - LE PALUDI DEL LOTO NERO, paragrafo 2

Ed era proprio l'oscura presenza in effetti, giacente lì, in essenza, paffuta e sincronica, opulenta e maestosa

ad esibirsi in guisa di un fiore dai petali neri e violacei, oscuri come la pece.

Dolce catrame nettare di un viandante disperso nel tempo che manca.

Ineffabile era il suo profumo, dolce come il ricordo di dimenticanza.

Cioccolatoso a tratti, oppiaceo per altri, esso emanava aure e pollini carichi di ludibrio per le narici più raffinate.

La candida BianKa, bianca come la neve, si ritrovò d'un tratto a zompettare soave verso il fiore pomposo, come in preda ad una isterica necessità

ad occhi semi chiusi e con le dita che pizzicavano l'aria che la separava dagli agognati petali, ella si ritrovò d'un tratto faccia a faccia con il bulbo stesso della morte, rosso viola fiore di  sventura e malaugurata anima di malvagità.

-Ecco, solo ora io vedo! e svenne, 

caduta sul pattern morbido ma subito raccolta dalle braccia dell'amante, suo principe.


I nani si disposero in cerchio attorno a BianKaNeve e decisero, con gran subbuglio demistificato, di chiarmarla, da quel giorno, Rabarbara.

-Un nuovo nome è stato concesso di grazia - quest'oggi- alla nostra Signora, Rabarbara, che tu possa gioire immarciscente da qualunque altro momento al di fuori di questo e adesso e per sempre io T'Amo.

Rabarbara, Nostra Signora delle Foglie


-O eran voglie? chiese Cucciolo

-O Noie, o soglie- redarguì il principe, ma non importa.

-Che Rabarbara adesso sia affidata  alla strane cure di Dotto, il più acuto tra i nani, primo fra i cinque, secondo dai sette.


E così Dotto prese e uscì dalla saccoccia uno strano borsello ripieno di ogni sorta di materiale bio-meccanico e luminescente, bluetto, strani marchingegni avveniristici e chirurgici al contempo.

Da lì prese il micro-forcipe, che installato nelle nari della povera ragazza, si ritrovò a far fuoriuscire dal seno nasale uno strano liquido bluastro e mucoso, lucido e viscoso.

SPLOT fece il liquido cadendo fuori giù dal naso dell'avventata avventuriera nasale di poc'anzi. 

-Ch'é m'è successo?- Disse a un tratto Rabarbara, sbiancata tutt'a un tratto e ripresasi quasi per sbaglio


-Sei stata avvicinata dall'oscura presenza del Signore del Male, oh mia cara, è stato solo quasi e come per miracolo che tu sia sopravvissuta, salvata dalla mia scienza ottagonale e centenaria, Dotto si di professione, acuto e rigido come un

-STOP! disse il Principe, - non credo di voler ascoltare altrimenti, adesso è l'ora e il luogo di andare, che la strada e la vicenda è ancora lunga da compiersi, non dite? Non trovate?

Che ne pensate?

-Ma si, disse Cucciolo, because why not, in fondo è facile, e già oltre quella siepe, io vedo una valle, e nella valle c'è una steppa, che non tarderà a trasformarsi in brughiera, se non ci affrettiamo, quindi su, nani e principi, e tu Rabarbara, fa scanso ai nani e andiamo, orsù, laggiù in campagna.







BianKaNevE - CAPITOLO 2 - LE PALUDI DEL LOTO NERO

-Haryukan Meriggio? Hauharan, Shitan!

disse Giancoraggio, e si separò dai sette, dismettendosi.

Il gruppo rimase perplesso da quanto era appena accaduto, e Dotto, il primo dei nani (che fin qui c'eravamo arrivati) propose a tutti di farsi un cannone.

-No, disse Truzzolo, quasi quasi mi è venuto in mente di presentarvi questo absurdolo liquore che ieri pomeriggio, mio cognato proveniente dalla Spezia, mi ha appena portato:

-Di che sa? 

lo interrogò BianKaNeve

-Di niente, probabilmente, ma è più probabile che sappia anche di troppo, per l'appunto.
Con un  sentore di rose caramellate.-

Al proto-vedico suono di queste parole, BianKaNeve era già stata sedotta da un pezzo e annusando l'aere rubiconda e bianca si dirise  naso e chiappe verso l'occhio famelico della fantomatica bottiglia.

-Chi ha detto che lo dovevi bere tu? Soprattutto Tu per Prima? - la redarguì il Truzzolo, acrobatico a suo modo, nano caramellato da un pezzo.

-Lo decido IO!- fece il principe, con fare manesco, -Solo IO sono in grado di comprendere quanto e quale questo liquore ci potrà ringalluzzire, oltremodo, a Novembre,

-E invece no, lo interruppe BianKaNeve, lanciandosi con simpatia venosa alla faccia del nano, afferrando il magico intruglio, biankastro ed ambra il sapore.

E ingurgitò.
E bevve.
E consumò.
Tutto.

Non ne lasciò neanche una goccia pei i suoi amici o nemici o cugini di essi.
Non ne lasciò nulla per nessuno, perché così era scritto ed adesso ed Amen.

Tutti rimasero in silenzio.

-Ma che kattzzo , BianKaNeve, come hai osato, come hai potuto, come hai anche solamente potuto anche voler solo immaginare di avere berlo tutto?

un piccolo rutto

esordì dalle labbra innocenti di BianKa, rutto sommesso quasi ascoso ma sì dolce, effervescente e più che spontaneo.

-Ho capito! Solo ora, rimembrosa, mi sono ricordata di dover andare avanti, niente più affabulamenti, litigi o teste di caTTzo qualsiasi.
D'accordo? 

-SI

dunque procediamo di un'altra quindicina di metri verso sinistra  e ci ritroviamo in faccia a un cespuglio.
Verde e viola.
Miracoloso.
Fresco.
Imbelle.

-Cosa ci sarà oltre QUEL cespuglio? - chiese Bistrattalo, quarto dei nani

-Non lo so ma stando all'odore, direi che sicuramente ci dovrebbe essere qualcosa di buono...-
gli rispose Cucciolo

-Mh - disse Dotto, non credo proprio ma comunque state attenti, e comunque qualcuno dovrà pure fare da ariete, qualcheduno dovrà pur uscir la faccia oltre la siepe, per guardare, altrimenti oltre...

-Principe?!
urlò BianKaNeve

-Si? Nevvero? disse il principe

-Tocca a te.

-E OK, fece lui, districhiamoci tra le foglie di questo giardimmmhh..

-mmh cosa?
Gli chiese BianKaneve 

-Sentoooh,

-Cosa?

-Sentoodor di

-Di cosa?

-Sento Odor di Dardanelli - disse il principe, prendendo la sua sposa per mano e tirandola aldilà della siepe

i nani forcuti, potevano accompagnare solo e lo fecero, danzando e zompettando e tutti e sette si ritrovarono all'improvviso catapultati nelle violacee paludi del loto nero.

Ad accoglierli fu un campo quadrato, con i quattro angoli smussati, recintato da tutti i lati da queste siepi verdi con risvolti cromatici violacei, e nel centro, una palude, con in mezzo, un loto nero.

Il loto nero inspirava indecente soffiosi ricordi di pomeriggi altrui, protocollati, altolocati, nevrastenici ed indecenti.
Deliziosi e sulfurei, abbandonavano la mente per viaggiare a fitto dentro al di dentro del corpo.

Tutti erano fermi, sulle soglie della palude, fissi immarciscenti lì a guardare
fitti

fissi
Concentrati su quell'unico fiore ondeggiante, violaceo e nero, dalle damaschie urticanti, dorate, quasi per sbaglio volute, desiderate.

-No KattZZO!  fece Brontolo - Lo sapevo

-Cosa? lo interrogò BianKaneve

-È lui, quel fiore è LUI!

-Lui chi?- gli chiese il Truzzolo
-Lui! Lui! Nient'altri che Lui! Il mago nero, l'oscura presenza!





BianKaNeve - CAPITOLO 1

 Compongo strani suoni usando le mani come strumenti


BIANKA Neve

bianca Neve era una tipa astratta, le piaceva divulgare meraviglie purulente sopra le case degli altri  e non si curava affatto delle conseguenze che tutto ciò avrebbe potuto avere.

Ella si beava infatti di una strana scimmia di nome Nessuno, tristemente complicata quanto ragguardevole riguardo ai modi, e ai fatti.

Comunque, un giorno di media portata BianKa Neve decise che era arrivata l'ora di raccogliere dei funghi dalla foresta di smeraldo e onice, profumata di fragranze sempre nuove quasi quanto quelle mutandine di quella tua zia adorabile quanto profumata in eccesso.

Non volle andar da sola, però, e così riuscì a complicarsi la vita invitando a sé cinque nani e un Principe.

Gli altri due (nani) erano già in vacanza negli spudorati pressi di Vigevano.

A far free climbing sopra ai cessi, dicevano.

Nel frattempo un'oscura forza mascherata decideva le sorti della conquista più austroungarica che tu abbia mai conosciuto in vita altrui.

La forza oscura puzzava di vecchio.


I funghi, dal canto loro, violacei come il mio desktop, brillavano, astratti, sopra ai confini di un sottobosco ascoso, severo ma morbido, verde luccicante, di strani muschi e suoni pacati, brillanti, unici.


Ma era arrivato il tempo di partire

nano number one pizzica il culo a nano number five e dice a tutti che è arrivato il momento di seguirlo, oltre la porta, il regno dei Cristalli aridi e avidi e madidi come la pece (ma più bianKi) li stava aspettando. 


-ok ragazzi, arrivo io 

disse il principe, sorvolando grazie al mantello l'intera scena, un po' nascosto dalle ombre, mezzo ancora dalla nebbia

-arrivo io e vi dico: DOCET

QUARTO NANO DOCET

-ma in che senso?

fa Bianca Neve e tutti:

-BOOOH.


Ho capito, fece il terzo nano, ho deciso che da oggi qualsiasi voglia cosa vi venga in mente, io la dovrò - neutralizzare!

-e perché?

chiese Cucciolo, forse il quinto, forse il terzo, dei nani


-Perché l'altro ieri ho sognato un cugino vandalo di Adolf Hitler, che mi diceva: apri gli Occhi, il tempo è VENUTO affinché io possa destinarmi al domani

-Capisco, fece il quarto nano, ma adesso è proprio ora di andare

-In effetti, vai partiamo - fece il principe

Aperto il cancello, una distesa candida di meraviglie caramellate si palesò agli occhi del gruppo, bianche come lo zucchero, dolcificanbrillanti, quasi adipose.

Erano piante o animali, graziose nel gusto e soporifere nell'umore, sempre madide di speranze ancora a venire. Un mondo giovane, carico di meraviglie un po' cangianti.

Ma posto il secondo passo a BianKa neve scoppiò un brufolo e subito dopo udì un rumore, un ululato quasi, proveniente dalle gerarchie tonanti del mezzogiorno.

Ella udì il suono del primo attore osceno e confabulante inviato dalla oscura forza per impedire la raccolta, dei funghi saKri, che la dama e i nostri assolutamente volevano.

-Non aver timore, BianKa neve, disse un nano, il terzo se non erro - ho qui un rimedio protozoico inventato da mio nipote Achille, proveniente dalle spazientite lande dell'ovest a sud della Marchilonia, rimedio bianco, soffice e soave, basta un sorso, solo uno, e tu ed io e NOI, diventeremo un tutt'uno con la macchia.

-Sei d'accordo?- Chiese il principe

ed ella, neve BianKa annuì, bevendo.

Non appena il liquido fu ingurgitato, un fragore sommesso sbalzò impavido dal petto pulsante della ragazza, impetuoso ma dolce, ovattato e sincero.

-Cazzo che minchia di botta!

-Hai visto, fece il nano, sornione - adesso passa la bottiglia che ce ne imbeviamo un po' anche noi!


e bevvero, stavano a malapena a due metri dal cancello ed essi bevvero, tutti, poi soddisfatti ringhiarono e ringraziarono Allaide per il saKro gusto del suono.

O del liquido, nelle vostre menti.

Comunque, i sette, compresi Principe e BianKa Neve, meno due dei nani, tipo stavolta fecero un quindici kilometri di strada a piedi, cantando e saltellando, quasi in estasi primigenia dovuta al fatto che avevano ingurgitato il liquido saKro-magiKo  donatogli da voi sapete bene chi.

-E quindi? Fece a un tratto Truzzolo, uno dei nani

-Cioè mi avevi detto che mi dovevi dare una sigaretta e invece ti sei rollato un cannone, nottetempo, tergiviriscarabilmente suppongo, ma non ti vergogni?

disse a Cucciolo, che adesso era diventato il secondo nano.

Brontolo lo interruppe: Non essere così scontroso, Truzzolo, il ragazzo aveva solo voglia di fumare, e poi mi deve  fare fare  anche due tiri, vero?-

Ma proprio mentre Cucciolo stava per annuire e passargli la canna, o joint o spliff o blunt, che dir si voglia, no, ecco che ti appare un super-omo palestrato di nome Giancoraggio.

Con una tutina aderente gialla e viola, lucida come un pacchetto di patatine del supermercato.

Portava pure un mantello se non mi sbaglio anche, viola anch'esso, come un lillà.

In una radura affatto mistica, circondata da alberi lunghi e sottili che mi ricordavano i cipressi, ma più bianKi.

-Ciao, sono Giancoraggio, eccomi a voi in adeguata vece, che con voce tonante torno per la prima volta  dirvi che c'è un'offerta, un'offerta vantaggiosa atta a lavare a me a voi, le mani, i piedi e forse anche la faccia, con uno scellino in più anche le ascelle.

-Ma davvero? fece il terzo nano - ma davvero tu pensi che io e noi e noi e loro abbiamo forse il bisogno di lavarci le ascelle, in un giorno come questo, invernale al cristallo, freddo e sterile come la pietra?

-In realtà sono venuto qui per dirvi di stare attenti, disse Giancoraggio, attenti perchè svoltato quel finto angolo oltre la siepe nevralgica quanto cristallina, vi ritroverete in una palude, ombrosa quanto indigesta, fottutamente placida ma kaotica, portatrice di dolci sogni e morte, morte a palate.

In quella palude crescono imberbi i fiori del loto nero, provenienti alquanto dalle oscure paludi dello Stige.

-E chi li ha portati qui? 

Fece a un tratto BianKa Neve, giustamente incuriosita

-Sempre mio cugino quell'Achille, figlio di Novara, figlio di Vincenzo, disse il nano cugino di Achille.

-È uno spacciatore D.O.C. , precisò Bistrattalo, quinto dei nani.


Il principe, un po' geloso, chiese, rivolto a Giancoraggio:- E mò che vuoi, mille lire?

-Si, ne avrei prescia e anche che bisogno, ma attenti, attenti al mio vaticinio acuto nonché cronico, attenti poiché oltre le paludi del loto nero incontrerete altri perigli, pericoli, attenzioni e necessità.

-Tipo?

-Tipo la steppa delle merendine urticanti.






 Attualmente il mio migliore amico è "PRODIXY", un tizio spagnolo dall'età sconosciuta, così come il volto, così come la voce, ma non così come gli INTENTI, he just wanna have fun, vuole soltanto divertirsi, giocando a league of legends, con me, alle volte.

and it's RIGHT, MAN.

 Vuoi conoscermi?

Gesù Kristo sulla Kroce ha imparato a camminare
rivolta gli angoli apparentemente nevralgici
su cui supporre le gerarchie del suono

Io SONO.
e TU SEI UNA?

dieci bastoni

Barattare la mia libertà psichica e intellettuale in cambio di due like, un abbraccio e 150 euro.
Non c'è bisogno che vi ripeta dove dovete  andarvene.

 Certa gente non sa veramente che farsene delle misere briciole di potere che gli sono concesse, per fiducia, e ne abusa abbondantemente, per i loro sordidi interessi. Poi si lamentano quando UNO giustamente spazientito li manda abbondantemente a fare in Kulo.




 TESTA BACATA

Ma VA FAN KULO - Zoon
zoon è tornato ad essere una merda, i due loschi individui fanno meglio a stare dove stanno  e IO, e Te, protopapera, dobbiamo ancora imparare a camminare,

Il mondo, soave, ruota attraverso le ruote del PAZZO, 

Taglio laccio emostatico, ribelle
ascensioni mistiche, sulla mia pelle
rivoltoso ancora ombroso a riveder le stelle

semantico, tipo squarto di un grado, poi mastico
rovescio
innanzi tutto ancora la geometria Euclidea
dimentico, sepolto sotto all'opera della geografia tonale
rimastico - ventotto - scene drammatiche, risale.